Dopo quindici anni vissuti a stretto contatto con una comunità di Rom rumeni nel quartiere Japigia di Bari, Giovanni Princigalli realizza un documentario dal titolo Japigia Gagi, un’intervista che prende il nome dalla protagonista Ligia, e un cortometraggio di finzione, La mela rossa.
La trilogia è stata raccolta in un cofanetto, acquistabile su Distribuzioni dal Basso e Libreria universitaria, distribuito insieme ad una raccolta di scritti, con il nome di Quaderni gitani. Il taglio dell’operazione è prevalentemente etnografico e sotto questo profilo il progetto si può ritenere senz’altro interessante poiché consente una ricognizione aggiornata sugli usi e i costumi dei Rom rumeni in Italia.
Sul versante cinematografico si realizza un racconto fluido e appassionato, pur nel contenimento del budget, grazie al buon controllo dei mezzi tecnici, all’efficace montaggio che è parte della sceneggiatura e al profondo rapporto fiduciario costruito con i protagonisti che si offrono con generosità. Anche il cortometraggio La mela rossa, che vede due bambini protagonisti di una storia semplice ma non priva di suggestioni poetiche, svolge un ruolo di ricerca e le immagini sporche e apparentemente prive di correzione colore, sembrano volerlo sottolineare; d’altronde isuoi protagonisti sono gli stessi del documentario breve Ligia.
Ligia è una donna che ci racconta del suo rapporto con la figlia detenuta e del suo desiderio di una casa che è una costante che troveremo in tutta la trilogia; nello stesso documentario troviamo anche un breve intervento di una ragazza sedicenne incinta, le cui frasi lasciano la sensazione di inappropriatezza della sua condizione di giovanissima e di madre, sebbene lei non ne sembri pienamente cosciente.
In Japigia Gagi seguiamo le vicende di un accampamento abusivo nel quartiere Japigia, approfondiamo le vicende di alcuni abitanti, il matrimonio di una giovane ragazza, il difficoltoso percorso di scolarizzazione dei bambini, il rapporto con i volontari della Caritas e la struttura delle tradizioni che inducono a cercare sostentamento attraverso l’elemosina, attività affidata a bambini e donne. Scorgiamo spesso l’ombra del carcere, segno dell’abitudine ad infrangere la legge, anche se su questo non si opera adeguato approfondimento. Lo sguardo scientifico, puramente descrittivo, viene attraversato da un’evidente posizione politica che ritiene ingiudicabile tutto ciò che è ascrivibile ad un’appartenenza etnica e culturale. Ma così non dovrebbe essere, quando sono in gioco i diritti delle donne, dei minori e il necessario richiamo ad un rispetto, almeno tendenziale, della legge.
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